Dice Foucault "La
borghesia per darsi un corpo , ha guardato verso la sua discendenza e la salute
del suo organismo". L'ombra
della salute (La salute titolo originale) è il libro maturo di Alberto Pellegatta:
la salute è un dispositivo del potere, di un potere invasivo
e che ci vuole accudire, a cui la poesia non si sottrae mettendola in scena
(fra "poeti glamour" e "l'offeso"): "la macelleria
dell'angolo ha la sua vetrina sconcia" che sembra rimandarci all'ex
macello divenuto obitorio in Teresa
Raquin di Zola: "l'obitorio è uno spettacolo alla portata di ogni
borsa, che si offre gratis...entri chi vuole." E' così che un locale infetto
e disgustoso- La Morgue - è diventato un piccolo monumento e " c'è
gente chi si sottopone a veri e propri viaggi, per non mancare neanche a una di
queste rappresentazioni della morte" che nei versi del poeta milanese è colta nel suo disfarsi fino a produrre "crema",
"schiuma" e "acqua": tutto "entra in circolo" e la
carne urla. Ma perché? Perché non riesce mai a stare zitta, verrebbe da dire.
Nell'amministrazione
della salute non manca l'architettura trattata alla stregua dei corpi ("il
pulviscolare sgranchirsi del corpo principale...") o rimandata nel suo
essere "casa / di cura", così viene percepita l'eventuale Seconda patria. In queste poesie entrano
in gioco anche vicende familiari,
biografiche, millesimali. Nel libro sono
ravvisabili riferimenti multipli riconfigurati nella propria voce -
"raffineria del discorso" - da
De Angelis, Raboni, a Cucchi di "Poesia della fonte" e , come
scriveva Santagostini, "concorre a questo risultato un apparato metrico
sorvegliato" già evidente nella
plaquette d'esordio Mattinata larga
in cui l'endecasillabo sfociava in ipermetro fino alla prosa poetica di Quasi carta. Rispetto a Mattinata
larga l'autore - in questa nuova
prova - ha asciugato il dettato poetico
senza tralasciare una sorta di manierismo che si coagula in sintagmi
all'interno di alcune poesie, quasi a divenirne epicentro (ma solo per poco...).
Nel suo procedere
l'autore ci segnala "una mancanza"
che si fa via via pressante costringendoci a fare appello a
"formule" ("formula /amorosa perfetta" e ancora "pulisce bene le formule")
destinate a insterilirsi, nel mentre
anche il pensare in versi subisce distorsioni indotte "non è mai / ciò che
abbiamo scritto" si legge in una chiusa: a evidenziare una
"disarmante" disconferma che il poeta constata.
Non va dimenticato
che l'incipit del testo è affidato all'immagine della chiesa della Salute
dipinta da Turner che si squaglia
proiettando quanto ne consegue nella
dimensione del no future; il disfacimento
è sottoposto a una elevata ipocondria con marcata scrupolosità nell'osservare-indagare
il corpo (qualche ghiandolina...) data "l'eccessiva intimità"
autocentrata. Il tema centrale fa da catalizzatore ad altro gettando il lettore "nel vuoto concavo /
che ci contiene tutti" fra "spaventosi silenzi primitivi". Diverse
discipline si mescolano chiamate a supportare e a espandere il canto.
Massimo Dagnino